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Mobbing: come tutelarsi?

La parola mobbing deriva dal verbo inglese “to mob” che significa “prendere di mira” ed è stato utilizzato soprattutto per descrivere un particolare comportamento di alcune specie animali che circondano in gruppo un proprio simile e lo assalgono rumorosamente per allontanarlo dal branco.

L’utilizzo del termine mobbing sul posto di lavoro si è diffuso negli anni ’90 del secolo scorso, ed identifica un insieme di comportamenti violenti da parte del datore di lavoro oppure di superiori gerachici, o semplici colleghi del lavoratore. Tali comportamenti non devono essere isolati ed estemporanei ma prolungati nel tempo (di solito si considerano rilevanti le condotte se si protraggono per oltre 6 mesi) e lesivi della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica del dipendente che ne è vittima.

Alcuni esempi di mobbing:
– continui rimproveri espressi sia in privato che in pubblico per motivi futili;
– eccessive forme di controllo sull’operato del dipendente;
– esclusione reiterata del dipendente dalle attività aziendali;
– mancata assegnazione dei compiti lavorativi;
– interruzione della comunicazione utile allo svolgimento dell’attività lavorativa (chiusura casella mail, restrizione accesso ad internet etc.)

Ma sono molte di più le azioni che possono essere definite mobbing, così come sono diverse le tipologie di mobbing.

Parliamo infatti di:

  • mobbing dal basso o down-up: il mobber (e cioè l’autore delle condotte mobbizzanti nei confronti della vittima) è in una posizione inferiore rispetto a quella della vittima. Accade quando l’autorità di un capo viene messa in discussione da uno o più sottoposti, in una sorta di ammutinamento professionale generalizzato. I casi di mobbing dal basso sono comunque abbastanza rari, in Italia la percentuale è minore del 10%;
  • mobbing gerarchico: il mobber è in una posizione superiore rispetto alla vittima. Si pensi ad un dirigente, un capo reparto, un capo ufficio. Questo tipo di mobbing comprende tutti quegli atteggiamenti riconducibili alla tematica dell’abuso di potere, cioè dell’uso eccessivo, arbitrario o illecito del potere che un ruolo professionale implica;
  • bossing o mobbing strategico: l’attività è condotta da un superiore al fine di costringere alle dimissioni un dipendente in particolare, ad es. perché antipatico, poco competente o poco produttivo; in questo caso, le attività di mobbing possono estendersi anche ai colleghi, che preferiscono assecondare il superiore, o quantomeno non prendere le difese della vittima, per non inimicarsi il capo. Questa tipologia di mobbing è particolarmente frequente nelle imprese che hanno subito ristrutturazioni, fusioni, cambiamenti che abbiano comportato un esubero di personale che l’azienda, tuttavia, ha difficoltà a licenziare. In effetti, si sente spesso dire, anche nel linguaggio comune, che quando un’azienda decide che un lavoratore deve uscire trova il modo per indurlo ad andarsene;
  • mobbing orizzontale: è quello praticato da parte dei colleghi verso un lavoratore non integrato nell’organizzazione lavorativa per motivi d’incompatibilità ambientale o caratteriale, ad es. per motivi etnici, religiosi, sessuali etc.

Subire costantemente comportamenti offensivi, umilianti ed escludenti può rappresentare per la vittima un grave problema, non solo lavorativo ma anche sociale e familiare e, soprattutto può avere gravi ripercussioni sulla salute: la patologia psichiatrica più frequentemente associata al mobbing è il disturbo dell’adattamento, che si manifesta con numerosi sintomi che denotano ansia e depressione della vittima.

Tra le conseguenze connesse ad una reiterata pratica di mobbing troviamo la perdita d’autostima, la depressione, l’insonnia, la tendenza all’isolamento. Inoltre il mobbing è causa di cefalea, annebbiamenti della vista, tremore, tachicardia, sudorazione fredda, gastrite, dermatosi. Le conseguenze maggiori sono i disturbi della socialità: nevrosi, depressione, isolamento sociale e, suicidio in un numero non trascurabile di casi.

La depressione, in tutti i suoi molteplici volti, è a sua volte causa di numerose patologie anche mortali che colpiscono soprattutto l’apparato respiratorio e quello cardiovascolare (come ad esempio l’aumento della pressione arteriosa).

In Italia non esiste una legge anti-mobbing né uno specifico reato di mobbing. Per quanto riguarda l’Europa, esiste una risoluzione del Parlamento europeo sul mobbing sul posto di lavoro [1] che rappresenta uno dei primi riferimenti normativi in materia. In ogni caso si tratta di una mera risoluzione del Parlamento Europeo e non di una direttiva né, tantomeno, di un Regolamento. Proprio per questo rientra nella libera scelta degli Stati membri decidere se adottare norme specifiche contro il mobbing o meno.

Le principali tutele del dipendente mobbizzato sono:

  • la possibilità di chiedere un risarcimento del danno al datore di lavoro che deve garantire al dipendente un ambiente di lavoro sano e deve tutelare la salute psico-fisica del lavoratore;
  • la possibilità di denunciare l’autore del mobbing per lesioni o per stalking;
  • la possibilità di dimettersi dal rapporto di lavoro per giusta causa e di chiedere la Naspi, ossia l’indennità erogata dall’Insp che spetta quando un dipendente perde involontariamente il lavoro.

Per dimostrare di essere vittime di mobbing è importante rivolgersi ad una agenzia investigativa. Nella maggior parte dei casi l’opera dettagliata dell’agenzia investigativa ed il materiale raccolto possono essere presentati in sede processuale.


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