Divorzio: può decidere il figlio?
Fa riflettere la decisione del Tribunale di Firenze che nel pronunciare la sentenza di divorzio di due coniugi ha preso come riferimento la lettera ricevuta dal figlio quindicenne, che così ha visto rispettate le sue esigenze.
Senza troppi giri di parole, con dodici righe a penna, un ragazzo di 15 anni ha chiesto ai giudici di essere ascoltato prima della sentenza di divorzio dei genitori. Ha espresso i suoi bisogni, ha parlato del rapporto che ha con il padre e con la madre.
Il Tribunale di Firenze ha recepito le sue richieste, ritenendole conformi al suo interesse.
Non si tratta di una scelta creativa, o singolare. La Convenzione di New York del 1989, la Carta di Nizza del 2000, la Convenzione di Strasburgo del 2003, il Regolamento UE 2201/03, infatti, da anni impongono l’ascolto del minore nei procedimenti che lo riguardano; tale obbligo è stato poi ribadito (e per certi aspetti chiarito) dalla Cassazione sin dal 2011.
Il nostro legislatore “interno” si è poi adeguato nel 2013 stabilendo che i figli maggiori di 12 anni (e quelli anche più piccoli, se capaci di discernimento) debbano sempre essere ascoltati (anche) quando i genitori litigano sull’affidamento, a meno che l’ascolto sia superfluo (ad esempio quando i genitori sono d’accordo) oppure nocivo per il figlio.
Purtroppo, nella prassi, non tutti i Giudici si “sentono in grado” di procedere all’ascolto del minore da soli e lo delegano a uno psicologo/psichiatra (c.d. Consulente Tecnico), così perdendo quel contatto autentico e diretto che meglio li orienterebbe quando devono assumere decisioni delicate: un conto è leggere negli occhi di un ragazzo, vederne la postura e la gestualità; altro è leggerne la descrizione in una fredda relazione fatta da altri.
Ascoltare il minore non vuole però né adeguarsi supinamente alla sua volontà ma neppure non tenerne in conto le richieste. Si tratta di operare il giusto bilanciamento; e allora, tanto più il figlio coinvolto sarà grande e assennato, tanto più le sue richieste saranno coerenti (e spesso lo sono molto di più di quelle dei genitori) tanto più il Giudice dovrà accoglierle. Esemplificando: se un quindicenne dovesse chiedere di vedere di meno la mamma perché gli impedisce di farsi le canne, ovviamente il Giudice non terrà di questa volontà; se, invece, un tredicenne dovesse scegliere di andare a vivere con il papà e vedere meno la mamma semplicemente perché con il primo si trova meglio, difficilmente una decisione sull’affidamento potrebbe discostarsi dalla volontà del figlio.
I Giudici fiorentini hanno fatto applicazione di questi principi: il figlio quindicenne chiedeva, infatti, di continuare a stare una settimana col papà e una con la mamma, come peraltro accadeva da tempo. Una richiesta sana, coerente ed equilibrata che il Giudice ha accolto, ritenendola in linea con l’interesse del figlio.
Lascia perplessi, dunque, non certo la sentenza quanto l’atteggiamento di quel genitore che si opponeva alla volontà del ragazzo: ascoltare nel profondo i figli, sintonizzarsi emotivamente con i loro bisogni, fare eventualmente un doveroso passo indietro, dovrebbe essere il primo dovere di ogni papà o mamma, senza necessità dell’intervento del Giudice.